19/02/08

Vita di S. AGOSTINO...



Aurelio Agostino nacque il 13 novembre del 354 a Tagaste, l'odierna Souk-Ahras, nella parte orientale dell'attuale Algeria. Tutta la regio ne, all'epoca, faceva parte dell'Africa Proconsolare. La sua vita intera si svolse nella cornice di una progressiva decadenza e disfacimento di tutti i valori della romanità classica e nel contempo di un'espansione e di una crescita ormai inarrestabile del Cristianesimo che soltanto da poco era uscito dalla morsa delle persecuzioni.

La spaccatura tra l'Oriente e l'Occidente dell'impero era ormai cosa fatta e non più ricucibile; anche le due culture e le stesse lingue, la latina e la greca, si facevano sempre più estranee l'una all'altra.
I barbari premevano sempre più minacciosi sui confini settentrionali e non avrebbero tardato a sfondarli per presentarsi persino a Roma e, attraverso la Spagna, nelle regioni dell'Africa Romana. Sul crollo di una concezione, e direi di un mito, dell'uomo si afferma va ormai la concezione della nuova religione che presentava dell'uomo una concezione assai più ricca, oggi si direbbe una liberazione totale, non accessibile soltanto ai più fortunati ma senza distinzione a Giudei o Greci, a barbari o Sciti, a schiavi o liberi, a uomini o donne. Così nella confusione drammatica dei tempi che si abbuiano la Chiesa si prepara a restar sola, come spesso succede, a difendere e ad affermare l'uomo nella totalità delle sue esigenze e delle sue possibilità.
Dall'editto di tolleranza di Costantino, Teodosio non tarderà a rendere il Cristianesimo religione di stato (380); presto verranno proibite tutte le forme di culto pagano e verrà disposta la distruzione di tutti i luoghi di culto della vecchia religione (391).
Il paganesimo fu tuttavia lento e difficile a morire. Ancora nella fanciullezza di Agostino si verificò quel rigurgito di Giuliano l'Apostata che tentò anche con maniere dure di restaurare la vecchia religione di stato, convinto che questa sarebbe stata la medicina unica, capace di risollevare la potenza e la gloria di Roma.
Anche nel Cristianesimo il fenomeno delle conversioni di massa portò inevitabilmente a un abbassamento del livello qualitativo, a una sorta di sbracamento che interessò sia l'ambito della fede (eresie e affini) sia l'ambito dei comportamenti e della testimonianza.
Questa, molto sinteticamente, la cornice nella quale si inseriscono i 76 anni della vita di S.Agostino, cornice che non mancò di imprimere la sua influenza su di lui come, a sua volta, ne subì l'influsso, e certo molto significativo, e fu lievitata da lui come lo è la pasta che accoglie in sé un lievito molto forte.
Il padre di Agostino era un pagano, di nome Patrizio, impiegato nell'amministrazione del municipio di Tagaste. La condizione sociale lo vedeva tra gli honestiores della piccola comunità. La condizione economica era più precaria della condizione sociale.
La madre si chiamava Monica, un nome imponente e sublime nella storia della santità della Chiesa. Anche a fianco di un figlio così grande la sua personalità cristiana brilla di luce propria e fu tale l'influsso che ebbe su di lui, sulla sua crescita, sul suo carattere, su tutto il suo cammino, che nelle vicende e nei sentimenti del figlio, anche già vescovo, spesso affiora spontaneo il riflesso della madre.
Da lei fu educato a profondi sentimenti cristiani, al rispetto di Dio, all'amore di Cristo, alla sensibilità verso il prossimo, al valore dell'amicizia. Ma, secondo un costume del luogo e del tempo, il battesimo fu rimandato a un'età più cosciente.
La scuola ne rivelò e potenziò le superbe capacità intellettuali, la tendenza alla ricerca e all'approfondimento, la possibilità di esprimersi con chiara lucidità; divenne veramente padrone del pensare e del comunicare. Però non seppe dargli una formazione nei valori. Era una scuola ancora di carattere paganeggiante e materialistico, attenta alle futilità e alle vanità della vita, più capace di scatenar passioni che di insegnarne il dominio e la valorizzazione dei caratteri positivi.
Frequentò le scuole del paese natale fino a 12 anni, poi per due anni quelle di Madaura, una quarantina di chilometri più a sud, e infine gli studi superiori a Cartagine.
Un anno di ozio prima di potersi recare a Cartagine, poi la lontananza da Tagaste e soprattutto dalla madre costituiscono quel tratto della sua giovinezza in cui egli si sentì libero e abbandonato a se stesso, senza freni e senza scrupoli in cui si manifestò in lui quella sbrigliatezza di comportamento di cui ebbe poi tanto a vergognarsi e a rammaricarsi.
A Cartagine si legò d'amore con una donna forse più bassa di lui nella scala sociale. Ne ebbe un figlio che chiamò Adeodato. L'amò e le fu fedele sempre per tutto il tempo che convisse con lei. Nel tempo della sua conversione la rimandò in Africa. Essa non viene mai nominata o descritta; passa nella sua vita con assoluta discrezione e lascia in noi un sentimento di accorato affetto.
A Cartagine, intorno ai 18 anni, ebbe un incontro a cui vien data da Agostino stesso un'importanza ben più decisiva.
Si tratta di un libro: l'Ortensio di Cicerone.
«Da un libro tutto ci si può aspettare, da un momento all'altro, anche un cambiamento di vita, oltre che di idee» (G. Vigolo).
Fino a quel momento Agostino si descrive tutto impelagato nelle passioni carnali e materialistiche, schiavo di un'ambizione sfrenata di apparire e di primeggiare, assetato di denaro e di benessere. Il libro, malauguratamente perduto, ma forse anche di modesto valore, metteva in evidenza la futilità di queste cose e come, per l'uomo dotato di intelligenza, l'unica cosa che lo potesse soddisfare ed elevare era la ricerca della sapienza e la professione della filosofia.
Senza sottovalutare l'impatto con il libro di Cicerone, a noi sembra che ci troviamo di fronte a un momento importante della maturazione del giovane Agostino. Egli sta comprendendo da sé che la grandezza dell'uomo passa attraverso la sua dimensione intellettiva e spirituale. E non bisogna qui dimenticare la crescita dei germi seminati dalla madre Monica.
Il libro è solo un bagliore, una conferma. Un libro in tanto è valido in quanto mette in vibrazione le corde intime del cuore dell'uomo. Il giovane Agostino veniva scoprendo se stesso e si cominciava ad affermare in lui quella sete di filosofia vera che porta alla sapienza, quella sete di verità che diverrà sete di Dio. Si comincia quindi a manifestare quella sete di ricerca, quell'insoddisfazione viscerale per tutte le cose che sembrano prometter tanto ma che sono più piccole del cuore dell'uomo e che perciò lo rimpiccioliscono e lo imprigionano; si comincia a intravedere l'anelito verso le alte cime, l'ansia dell'infinito verso cui è naturalmente proteso il cuore umano. Fra una venticinquina di anni questo stato d'animo ancora in maturazione verrà lapidariamente descritto con quel celebre canto con cui si apre il libro delle Confessioni: «Tu, Signore, ci hai fatti per te e il nostro cuore non ha pace finché non riposa in te».
Il cammino verso la verità non fu né facile né breve. Da principio, con una certa dose di ingenuità e di compromesso, cedette alla faciloneria del Manichesimo. Errore tipicamente giovanile di chi creda di trovar la pappa fatta nell'accettazione pigra di un sistema che promette molto perché è l'ultima moda e ancora non ha avuto il tempo di mostrare la sua stanchezza; come scommettere su un cavallo bolzo.
Ma con la verità non ci si può giocare. Se te ne innamori, se la cerchi sinceramente, non si sa dove ti potrà portare. Le delusioni sul Manicheismo non tardarono a venire e, anche se egli restò nella setta più di quanto durasse la sua convinzione, alla fine non poté più reggere.
Intanto al travaglio interiore faceva riscontro una facile mobilità esteriore, come un malato che si agita nel letto dove non trova la serenità del sonno. Aprì dapprima la scuola di Retorica a Tagaste; amarezze interne lo portarono a insegnare a Cartagine, dove restò fino ai suoi 30 anni (384). Delusioni e ambizioni lo indussero poi a Roma e subito dopo a Milano, oratore ufficiale di corte, tallonato sempre dalla madre e dal pungolo della grazia.
Sottrattosi finalmente alla tenaglia dei Manichei, cercò di approfondire le diverse scuole filosofiche nella speranza di trovarvi una strada migliore verso la verità. Il risultato fu uno scetticismo disperato e amaro.
E a questo punto che si inserisce da una parte lo studio dei Neo-Platonici suggeritogli da alcuni amici sinceri, e dall'altra l'approccio alle fonti cristiane, propiziato dai contatti con il vescovo Ambrogio che a Milano era venerato non solo come pastore della fede, ma anche come guida nella cultura e nella politica. Scoprì della verità una dimensione ben più vasta di quanto potesse esser contenuta dentro sistemi filosofici e ne scoprì gli echi non fuori, ma dentro di se stesso, nella più profonda interiorità. La Bibbia divenne il suo pane quotidiano. Vi trovò che il Verbo-Sapienza era venuto incontro all'uomo smarrito facendosi lui stesso uomo. La strada era questa. Non la considerò una cultura nuova e diversa, ma un impegno totalizzante. E su queste successive conquiste egli giocò la sua vita.
Questo è il periodo della «conversione» di S. Agostino. Egli stesso nelle Confessioni ne descrive le tappe drammatiche e sofferte non solo nella ricerca di una chiarificazione della sua mente, ma più ancora per lo strappo che la verità esigeva nella impostazione della sua vita. La Verità lo veniva afferrando tutto ed egli, pur felice di scoprirne la infinitezza ricalcitrava nel dover dire addio a tante fole e legami che, pur imprigionandolo, avevano reso piacevole la sua vita. Ancora non riusciva a immaginare che, liberato dai lacci dell'antica schiavitù, avrebbe trovato la vera libertà di essere e tanta felicità.
Pur riconoscendo che quella dei suoi 32 anni è la svolta fondamentale e decisiva della sua vita, a noi sembra di dover dire che in realtà tutta la vita di Agostino fu una continua conversione perché una continua ricerca. Non si considerò neanche allora un arrivato. E nella continua ricerca ci fu un continuo trovare e nel trovare una sete di ricerche sempre più profonde.
Per un bisogno quasi esistenziale di rapporti e di amicizia egli ebbe sempre attorno a sé una cerchia nutrita di amici a cui comunicava la sua stessa ansia di verità e che erano come lui e con lui intenti nella sua ricerca, condividendone gli sforzi e le gioie.
La stessa istituzione monastica che egli farà appena tornato in Africa ha tra le sue motivazioni più valide l'impegno di una ricerca fatta in équipe. E più tardi, quando le esigenze pastorali lo porteranno a impelagarsi in tante beghe che non sono sue personali, egli sentirà accorato e nostalgico il desiderio di un po' di pace per dedicarsi all'otium della ricerca e alla contemplazione di Dio. Così al monachesimo da lui concepito e istituito egli ha impresso come componente fondamentale questa ricerca insaziata della verità, vissuta in fraterna condivisione, quasi come anticipo dell'eterna contemplazione di Dio nella beatificante fruizione della sua felicità.
Le tappe della sua lunga esistenza sono presto dette. Battezzato il 25 aprile del 387, egli se ne riparte subito per l'Africa. Lungo il viaggio, ad Ostia Tiberina egli perde la madre che ormai aveva raggiunto tutti i suoi desideri nei riguardi della fede del figlio.
A Tagaste fonda il suo primo monastero e si fa appassionato propagatore dell'istituzione come per rianimare lo spontaneo fervore delle primitive comunità cristiane descritto negli Atti degli Apostoli, così il monachesimo agostiniano si diffonde con enorme prolificità in Africa e altrove e diventa scuola altissima di fede e culla di non pochi pastori e vescovi. Né minore slancio prese la vita monastica femminile, dove entrò anche la sorella di Agostino e forse colei che era convissuta al suo fianco per tanti anni. E da queste due istituzioni che ancora prendono ispirazione e attingono spiritualità i religiosi e le religiose agostiniane di oggi.
Ordinato sacerdote nel 391 in Ippona (oggi Annaba, sulle acque del Mediterraneo) come aiuto del vecchio vescovo Valerio, fonda un monastero di laici uniti nella comunione dei beni e impegnati nel servizio pastorale.
Tra il 395 e il 396 diventa vescovo di Ippona e anche qui fonda un monastero di chierici che vivono in perfetta vita comune. Prende così corpo una intensa attività pastorale caratterizzata da un affettuoso contatto umano, da un inesausto impegno di catechesi svolta soprattutto attraverso una ricchissima predicazione, costellata di incontri, dispute, concili, viaggi continui nelle diocesi vicine

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S. Maria in Selva