24/02/08

Grazie Signore per le gioie inaspettate...



" Meglio insieme ! Scommettiamo "!




Sabato 23 dalle ore 20.00 alle 22.00 si sono incontrati per una serata insieme i Giovanissimi della Parrocchia.Allegria e voglia di stare insieme hanno caratterizzato la serata. L' incontro è terminato con una partita a calcio sotto le stelle!!!

Elezione Consiglio - Compagnia SS. Sacramento




La Compagnia del SS. Sacramento è stata istituita nella nostra Parrocchia di S. Maria in Selva il 20 Febbraio 2000. La Compagnia persegue fini religiosi o di culto è non ha alcun scopo di lucro ed è costituita da 83 iscritti.Oggi 23 febbraio, i membri della Compagnia del SS. Sacramento si sono riuniti in assemblea ( art. 14 - 15 - 16 dello statuto), per eleggere il nuovo Consiglio.
Sig. Giancarlo Zei - Presidente
Sig. Enzo Favini - Vice Presidente
Sig. Giovanna Anzilotti - Segretaria
Sig. Renzo Gaggini - Economo
Il Consiglio dura circa 4 anni.Estendiamo ai membri eletti, un cammino di rinnovamento spirituale e servizio multiforme a beneficio della Chiesa e dei fratelli.Tanti Auguri

20/02/08

Foto villa alleluia

La fioritura del cero pasquale: esulta il cielo e gioisce la terra.


a cura di Don Danilo Priori
L’amore per il luogo in cui celebriamo il Signore Risorto è come un fuoco che consuma (Gv 2,17), è passione che unisce fratelli e sorelle nel comune scopo di partecipare alla Bellezza mediante i santi misteri ; se volessimo usare parole più semplici potremmo dire che tutto l’entusiasmo e tutta la cura con cui prepariamo la sala del banchetto sono finalizzati a rendere unico il vissuto celebrativo delle nostre comunità parrocchiali, affinché ciascuno possa condividere l’esperienza del “discepolo amato” e parlare di ciò che abbiamo visto e udito, “così sarete uniti a noi nella comunione che abbiamo con il Padre e con Gesù Cristo suo Figlio” (1Gv 1,1-4) .
Queste poche battute già dicono - se mai ce ne fosse ancora bisogno - quanto sia importante rivalutare e ri-significare i vari linguaggi usati dalla liturgia. Più volte abbiamo sottolineato come, ancora prima di accogliere l’ingresso del celebrante, tutta la nostra persona è immersa in uno spazio particolare e comincia a cogliere con i sensi immagini, colori, odori, suoni e silenzi che rimandano ad un evento straordinario. Il tempo di Pasqua poi, nell’economia dell’anno liturgico, certamente si caratterizza anche per la presenza di modalità espressive e simbolismi che ne esprimono la centralità e l’unicità; tra questi merita tutta la nostra attenzione il cero pasquale quale elemento che forse meglio sintetizza i temi del tempo pasquale. E’ ovvio che stiamo parlando del vero cero pasquale, quello fatto di cera d’api, quello profumato e preziosamente decorato, quello nuovo che dice la novità dell’Alleanza instaurata dal Cristo; non certo dei tubi di plastica che non si consumano, quelli che puzzano di vecchio e portano sui margini i segni delle calcomanie che anno dopo anno vengono tolte e riappiccicate. Come possiamo inaugurare i cieli nuovi e la terra nuova se poi scegliamo come simbolo della nuova luce uno stantivo cilindro di plastica? Come accendere in noi il desiderio della patria celeste se invece di attingere dal fuoco nuovo ci accontentiamo di un triste accendino? Perché cantare nel preconio pasquale la preziosità del cero quale frutto del lavoro delle api se il cero sul quale arde la fiamma non si consuma? Perché celebrare il memoriale dell’esodo se alla colonna di fuoco togliamo il suo splendore?
La comune esperienza insegna che non bisogna girare molto per imbattersi in certe realtà; sia ben chiaro, questa non vuole essere una critica verso le comunità parrocchiali meno attente ai segni liturgici: ne conosciamo e ne comprendiamo le motivazioni, ma non possiamo condividerle. Lo svilimento del linguaggio liturgico corrisponde all’impoverimento arbitrario del dialogo col Signore, la mortificazione del segno induce all’annacquamento della relazione con Lui.
Il cero pasquale accompagna tutta la nostra esistenza terrena e illumina il varco della beata speranza: alla luce del cero pasquale veniamo immersi nella morte e resurrezione di Cristo mediante il battesimo; alla luce del cero pasquale la comunità parrocchiale celebra la nostra nascita in cielo. Quel cero pasquale rinvia alla presenza di Cristo, da Lui ci lasciamo animare e illuminare, per Lui intendiamo ardere, a Lui aneliamo associarci in eterno. Ecco perché vibriamo di pura emozione quando il sacerdote durante la “madre di tutte le veglie” si appresta al fuoco nuovo e dissipa le tenebre della morte con la fiamma viva della gloria; ecco perché sospiriamo speranzosi quando incide con lo stilo la cera profumata medicandoci nelle piaghe di Cristo; ecco perché sussultiamo soddisfatti quando eleva la luce del mondo verso la patria celeste dove il Padre ci attende; ecco perché partecipiamo festanti all’annuncio di Colui che illumina trionfante la salvezza del nuovo Israele; ecco perché ci immergiamo con fede nell’acqua fecondata dallo Spirito, sconfiggendo il buio per sempre.
Pur associando alla simbologia del cero pasquale una così profonda riflessione teologica, vogliamo aggiungere una modalità espressiva: quella floreale. Sappiamo che il cero - soprattutto in quelle comunità i cui pastori hanno a cuore la formazione biblica e liturgica dei fedeli - parla da sé; tuttavia siamo altrettanto convinti della significatività del linguaggio floreale nella liturgia: i fiori, quando predisposti nel pieno rispetto degli spazi liturgici e della celebrazione, si affermano anch’essi come annunciatori dei divini misteri o quanto meno come voci ausiliarie dell’evento celebrato. In questa sede proponiamo tre diverse composizioni con cui fiorire il cero pasquale, fornendo alcune indicazioni di massima che possono ritenersi valide in ogni caso:
- Sui fiori. La Pasqua è immediatamente associata alla primavera, alla vita che esplode dopo il lungo letargo invernale. Orientarsi per i fiori di stagione rappresenta una scelta saggia e coerente, considerando anche l’ampia offerta di questo periodo e la possibilità di acquistare a buon mercato; ripiegare su costosissimi fiori esotici o fuori stagione sarebbe una contraddizione in termini: l’unico prezzo pagato è il sangue di Cristo e la sua offerta è fondata sull’amore gratuito a cui ci chiede di aderire nella semplicità e nella povertà. Meglio dunque quegli splendidi mazzi di ranuncoli, anemoni, fresie, narcisi, giacinti e quant’altro la natura offre, ben vengano anche i rami fioriti come ad esempio il pesco e il mandorlo.
- Sui colori. La liturgia esprime la solennità mediante il bianco, a cui associare la luce del giallo; la complessità e la profondità dell’evento celebrato ci inducono però ad apprezzare anche scelte diverse:
a) un’esplosione di colori davvero comunica tutta la gioia pasquale e il clima festoso che pervade la Chiesa ;
b) una gradazione sui toni del rosso sino al giallo-bianco sembra riproporre in chiave cromatica il mistero della passione, morte e resurrezione ;
c) una scelta monotematica di girasoli indica la propensione verso la stella che non conosce tramonto .
- Sull’armonia. Qualunque scelta floreale deve comunque conciliarsi con lo stile e i colori dei paramenti e dei vasi sacri, con l’architettura della chiesa, con la decorazione del cero, la disposizione delle luci e le restanti fioriture.
La fioritura orizzontale: una scelta “ecclesiale”. Valorizzando l’estensione verticale del cero pasquale, segno del legame tra il singolo battezzato e Cristo innalzato, possiamo incrociare questa linea con una fioritura orizzontale, segno stavolta del vincolo tra la Chiesa e il suo Sposo. Il risultato è una croce profumata e colorata, una fioritura semplice ed essenziale .
La fioritura obliqua: una scelta “spirituale”. Sempre incrociando la verticalità del cero, una composizione obliqua traccia un cammino che sembra squarciare lo spazio di nuova luce. Si tratta di una scelta tecnicamente impegnativa ma raffinata: la vista coglie una linea fiorita obliqua, quasi sospesa, che segna un dialogo tra la divina Trinità e l’umanità redenta.
La fioritura verticale: una scelta “radicale”. Il supporto del cero può offrire la base per il fissaggio di una composizione (di forma verticale o sinuosa) che sale verso l’alto, quasi a voler abbracciare il Risorto. È una soluzione decisamente semplice che lascia ampio spazio alla creatività personale e sembra esprimere il nostro radicamento a Cristo mediante l’adesione al progetto di salvezza.
Qualunque sia la nostra scelta e la nostra abilità nel fiorire gli spazi liturgici dobbiamo semplicemente ricordare che svolgiamo un umile servizio: il vero e unico protagonista è Cristo Gesù, colui che è Risorto. Davvero!

IL TRIDUO PASQUALE: LA FIORITURA DI UN’UNICA FESTA


a cura di Don Danilo Priori
La contemplazione del mistero di Cristo lungo l’intero anno liturgico trova il suo culmine nella celebrazione del Triduo pasquale; è vero che le nostre comunità parrocchiali si riuniscono durante tutto l’anno per fare memoria della passione, morte e resurrezione del Signore Gesù, ma le celebrazioni del Triduo rappresentano la sintesi mirabile di tutta la nostra fede. Non a caso, infatti, ci prepariamo alla “grande domenica” per ben quaranta giorni e prolunghiamo la sua celebrazione per altri cinquanta giorni durante i quali addirittura la Chiesa antica proibiva di pregare in ginocchio affinchè fosse sottolineata la partecipazione del fedele alla dignità del Risorto.
Come fiorire allora l’aula liturgica durante quei giorni?
Come sottolineare l’unità dell’evento salvifico, pur cogliendo le fasi celebrative?
Se volessimo trarre una lezione dalla prassi pastorale della nostra Chiesa locale, accanto a tanti esempi edificanti, non potremmo tacere sulla presenza di scelte talvolta deplorevoli, ben lontane dall’essenza intima del Triduo pasquale; a partire dalle ambientazioni “sepolcrali” del Giovedì santo, sino agli addobbi “folkloristici” della domenica di Pasqua, non è raro incappare in bouquet decisamente scollati dalla verità di quei santi giorni. Pur non potendo ripercorrere tutta la profondità teologica del Triduo pasquale, come al solito preferiamo far scaturire le scelte pastorali da una riflessione sul dato biblico e liturgico delle celebrazioni.
Giovedì santo.
La memoria dell’ultima cena costituisce una sorta di prologo dell’intero Triduo: l’assemblea riunita accoglie l’annuncio degli eventi pasquali da parte di Gesù, medita l’istituzione dell’eucaristia e del sacerdozio ministeriale, ravviva il suo impegno nella carità. La lavanda dei piedi - pur non costituendo il rito più importante della giornata e pur non avendo il carattere della obbligatorietà - impreziosisce la celebrazione del Giovedì santo, che culmina nella processione di accompagnamento al Ss Sacramento nell’altare della reposizione; quest’ultimo, lungi dall’essere un “sepolcro”, sarà convenientemente ornato. Appare dunque evidente come la fioritura del Giovedì santo mai potrà prevaricare i temi della giornata; si suggerisce quindi di evitare quelle esagerazioni che - quando non disturbano e non distraggono dalla partecipazione fruttuosa alla celebrazione – quantomeno anticipano ingiustificatamente la festa della Pasqua. La fioritura, possibilmente di stagione e sui toni del bianco, andrà senza dubbio ad onorare l’altare della reposizione, presso il quale i fedeli adoreranno il pane vivo; un piccolo richiamo, un sobrio bouquet che ne richiami toni e materiali, potrebbe essere collocato nei pressi dell’altare principale. Una precisazione sembra doverosa sul colore della fioritura: accanto al bianco non sembra esagerato accostare un rosa tenue, colore che rimanda alla primavera che sta per venire.
Venerdì santo.
Il colore rosso delle vesti liturgiche già dovrebbe convincerci che non stiamo celebrando il funerale di Gesù, come alcuni pensano, ma la sua regalità e la sua vittoria mediante la sua gloriosa croce. L’aula liturgica spoglia non consiglia la presenza di fiori e l’adorazione della croce costituisce l’aspetto rituale più suggestivo. Qualora si decidesse di fiorire la croce, sarebbe preferibile lasciarsi guidare dalla moderazione, scegliendo una forma semplice e stilizzata, sui toni del rosso, facendo attenzione a quei materiale - tipo rami spinosi e rovi - che potrebbero far scivolare nell’allegoria. Sarebbe bello invece adorare la croce facendo piovere sulla stessa fiori e petali, cospargendola di olio profumato.
La veglia pasquale.
Rappresenta il vertice assoluto dell’intero Triduo pasquale e trova i suoi momenti principali nella benedizione del fuoco e nell’ingresso del cero, nell’annuncio pasquale e nella proclamazione della Parola, nella liturgia battesimale e in quella eucaristica. Inutile dire che tutti gli spazi liturgici vengono coinvolti e conseguentemente fioriti in maniera adeguata. Il cero pasquale sarà di vera cera e profumato (quello di plastica sarebbe un “falso”…e in liturgia si dice sempre la verità!), impreziosito da un bouquet che ne rispetti la funzione e la forma. L’ambone, se non sufficientemente onorato dalla stessa composizione del cero, reclama una fioritura curata e importante in quanto luogo dell’annuncio della resurrezione. Fonte battesimale e altare richiedono anch’essi la presenza di un bouquet che ne sottolinei la centralità e il ruolo. Per quanto riguarda i colori, la scelta ricade sul bianco e sul giallo (colore che in natura più si avvicina allo splendore dell’oro), tralasciando l’utilizzo di materiale artificiale e vernici (in liturgia, come già detto, si sceglie sempre la verità delle cose). Le forme invece andranno calibrate sullo stile della chiesa specifica, così come la scelta dei vari fiori; in linea di massima si protende verso i fiori di stagione e sicuramente verso quelle linee e quelle forme che non intralciano la funzionalità della celebrazione. Qualora una parrocchia volesse fiorire in maniera poco dispendiosa si potrebbe optare per un’unica composizione che onora cero e ambone, un’altra nelle vicinanze dell’altare e infine alcuni piccoli fiori recisi messi a galleggiare sull’acqua del fonte battesimale, creando così un effetto assai suggestivo ma contenuto dal punto di vista economico.
Domenica di Pasqua.
La S.Messa del giorno celebra la Pasqua come compimento del disegno salvifico di Dio, Cristo Risorto inaugura una nuova situazione. La fioritura disposta per la veglia ben si presta per la Domenica di Pasqua; semmai si potrebbero aggiungere alcune composizioni, sempre degli stessi colori e materiali, presso la porta d’ingresso principale e lungo l’aula, a sottolineare l’entrata dell’assemblea riunita nel nuovo stato di cose, anticipo dei cieli nuovi e della terra nuova.
Attraverso queste fioriture degli spazi liturgici la comunità parrocchiale vuole esprimere la sua partecipazione a quell’unica festa che è il Triduo pasquale e gridare convinta: Tu sei bellezza!

Sant’Agostino insegna anche cos’è la vera laicità




Benedetto XVI continua le riflessioni per l’udienza generale al vescovo di Ippona,
autore fondamentale anche per la formazione di tutta la cultura occidentale.
Il dialogo con Dio nelle Confessioni e “la relazione tra la sfera politica e la sfera della fede e della Chiesa” nel “De civitate Dei”
Città del Vaticano– Autore amato da Benedetto XVI, come egli stesso ha detto durante l’udienza generale di oggi, Sant’Agostino è il Padre della Chiesa che ha lasciato il maggior numero di opere.
“Alcune sono di importanza capitale non solo per il cristianesimo, ma per la formazione di tutta la cultura occidentale”. E’ a lui, ad esempio che si deve l’analisi di “cosa dobbiamo aspettare da Dio e che cosa no, qual è la relazione tra la sfera politica e la sfera della fede e della Chiesa”, che “anche oggi serve per definire la vera laicità”.
Il vescovo di Ippona è stato per la quarta volta il soggetto del discorso che Benedetto XVI ha rivolto ai presenti all’udienza generale, che la grande affluenza di fedeli – la Prefettura della Casa pontificia ha distribuito 15 mila biglietti - ha fatto “dividere” oggi tra la basilica di San Pietro e l’aula Paolo VI.
Della vastissima opera di Agostino, il Papa ha in particolare parlato delle “Confessiones”, “tuttora uno dei libri dell’antichità cristiana più letti”, delle “Retractationes” e del “De civitate Dei”.
Anzitutto le Confessioni, in 13 libri, che “sono un specie di autobiografia, ma nella forma di un dialogo con Dio”. Ciò “riflette la vita di Agostino sostanzialmente vissuta come dialogo con Dio e cosi vissuta con gli altri”. Benedetto XVI ha poi evidenziato come la parola confessiones nel latino cristiano “ha due significati che si intrecciano. Indica in prima linea la confessione delle proprie debolezze, dei peccati, ma anche lode a Dio, riconoscimento e ringraziamento perché ci ama, ci accetta e trasforma, ci eleva a se stesso”. Ebbero un grande successo già durante la vita di Sant’Agostino e lui stesso ha scritto “le mie Confessiones hanno esercitato tale azione su di me mentre lo scrivevo e continuano ad esercitarlo. Il che vuol dire che piacciono ai fratelli”. “Il che vuol dire – ha commentato sorridendo il Papa - che io sono uno di questi fratelli”.
Meno diffuse sono le “Retractationes”, due libri che rappresentano una revisione di tutta la sua opera, definite da Benedetto XVI “documento singolare e preziosissimo”, espressione anche di “sincerità e umiltà intellettuale”. Importante per il pensiero politico occidentale è poi il “De civitate Dei”, che, “chiarendo che cosa dobbiamo aspettare da Dio e che cosa no, qual è la relazione tra la sfera politica e la sfera della fede e della Chiesa”, “anche oggi è la fonte per definire bene la vera laicità e la competenza della Chiesa, la grande e vera speranza che ci dona la fede”. E’ la storia dell’umanità governata dalla provvidenza divina, è “la sua interpretazione della storia dell’umanità come lotta tra due amori: amore di sé fino all’indifferenza di Dio, amore di Dio fino all’indifferenza di sé”. “Forse l’opera più importante di Agostino”.
“Anche per noi – ha concluso il Papa - sarebbe stato bello poterlo sentire vivo, ma è certo vivo nei suoi scritti e così vediamo la permanente vitalità della fede per la quale ha dato tutta la sua vita”.
(da AsiaNews)

19/02/08

Vita di S. AGOSTINO...



Aurelio Agostino nacque il 13 novembre del 354 a Tagaste, l'odierna Souk-Ahras, nella parte orientale dell'attuale Algeria. Tutta la regio ne, all'epoca, faceva parte dell'Africa Proconsolare. La sua vita intera si svolse nella cornice di una progressiva decadenza e disfacimento di tutti i valori della romanità classica e nel contempo di un'espansione e di una crescita ormai inarrestabile del Cristianesimo che soltanto da poco era uscito dalla morsa delle persecuzioni.

La spaccatura tra l'Oriente e l'Occidente dell'impero era ormai cosa fatta e non più ricucibile; anche le due culture e le stesse lingue, la latina e la greca, si facevano sempre più estranee l'una all'altra.
I barbari premevano sempre più minacciosi sui confini settentrionali e non avrebbero tardato a sfondarli per presentarsi persino a Roma e, attraverso la Spagna, nelle regioni dell'Africa Romana. Sul crollo di una concezione, e direi di un mito, dell'uomo si afferma va ormai la concezione della nuova religione che presentava dell'uomo una concezione assai più ricca, oggi si direbbe una liberazione totale, non accessibile soltanto ai più fortunati ma senza distinzione a Giudei o Greci, a barbari o Sciti, a schiavi o liberi, a uomini o donne. Così nella confusione drammatica dei tempi che si abbuiano la Chiesa si prepara a restar sola, come spesso succede, a difendere e ad affermare l'uomo nella totalità delle sue esigenze e delle sue possibilità.
Dall'editto di tolleranza di Costantino, Teodosio non tarderà a rendere il Cristianesimo religione di stato (380); presto verranno proibite tutte le forme di culto pagano e verrà disposta la distruzione di tutti i luoghi di culto della vecchia religione (391).
Il paganesimo fu tuttavia lento e difficile a morire. Ancora nella fanciullezza di Agostino si verificò quel rigurgito di Giuliano l'Apostata che tentò anche con maniere dure di restaurare la vecchia religione di stato, convinto che questa sarebbe stata la medicina unica, capace di risollevare la potenza e la gloria di Roma.
Anche nel Cristianesimo il fenomeno delle conversioni di massa portò inevitabilmente a un abbassamento del livello qualitativo, a una sorta di sbracamento che interessò sia l'ambito della fede (eresie e affini) sia l'ambito dei comportamenti e della testimonianza.
Questa, molto sinteticamente, la cornice nella quale si inseriscono i 76 anni della vita di S.Agostino, cornice che non mancò di imprimere la sua influenza su di lui come, a sua volta, ne subì l'influsso, e certo molto significativo, e fu lievitata da lui come lo è la pasta che accoglie in sé un lievito molto forte.
Il padre di Agostino era un pagano, di nome Patrizio, impiegato nell'amministrazione del municipio di Tagaste. La condizione sociale lo vedeva tra gli honestiores della piccola comunità. La condizione economica era più precaria della condizione sociale.
La madre si chiamava Monica, un nome imponente e sublime nella storia della santità della Chiesa. Anche a fianco di un figlio così grande la sua personalità cristiana brilla di luce propria e fu tale l'influsso che ebbe su di lui, sulla sua crescita, sul suo carattere, su tutto il suo cammino, che nelle vicende e nei sentimenti del figlio, anche già vescovo, spesso affiora spontaneo il riflesso della madre.
Da lei fu educato a profondi sentimenti cristiani, al rispetto di Dio, all'amore di Cristo, alla sensibilità verso il prossimo, al valore dell'amicizia. Ma, secondo un costume del luogo e del tempo, il battesimo fu rimandato a un'età più cosciente.
La scuola ne rivelò e potenziò le superbe capacità intellettuali, la tendenza alla ricerca e all'approfondimento, la possibilità di esprimersi con chiara lucidità; divenne veramente padrone del pensare e del comunicare. Però non seppe dargli una formazione nei valori. Era una scuola ancora di carattere paganeggiante e materialistico, attenta alle futilità e alle vanità della vita, più capace di scatenar passioni che di insegnarne il dominio e la valorizzazione dei caratteri positivi.
Frequentò le scuole del paese natale fino a 12 anni, poi per due anni quelle di Madaura, una quarantina di chilometri più a sud, e infine gli studi superiori a Cartagine.
Un anno di ozio prima di potersi recare a Cartagine, poi la lontananza da Tagaste e soprattutto dalla madre costituiscono quel tratto della sua giovinezza in cui egli si sentì libero e abbandonato a se stesso, senza freni e senza scrupoli in cui si manifestò in lui quella sbrigliatezza di comportamento di cui ebbe poi tanto a vergognarsi e a rammaricarsi.
A Cartagine si legò d'amore con una donna forse più bassa di lui nella scala sociale. Ne ebbe un figlio che chiamò Adeodato. L'amò e le fu fedele sempre per tutto il tempo che convisse con lei. Nel tempo della sua conversione la rimandò in Africa. Essa non viene mai nominata o descritta; passa nella sua vita con assoluta discrezione e lascia in noi un sentimento di accorato affetto.
A Cartagine, intorno ai 18 anni, ebbe un incontro a cui vien data da Agostino stesso un'importanza ben più decisiva.
Si tratta di un libro: l'Ortensio di Cicerone.
«Da un libro tutto ci si può aspettare, da un momento all'altro, anche un cambiamento di vita, oltre che di idee» (G. Vigolo).
Fino a quel momento Agostino si descrive tutto impelagato nelle passioni carnali e materialistiche, schiavo di un'ambizione sfrenata di apparire e di primeggiare, assetato di denaro e di benessere. Il libro, malauguratamente perduto, ma forse anche di modesto valore, metteva in evidenza la futilità di queste cose e come, per l'uomo dotato di intelligenza, l'unica cosa che lo potesse soddisfare ed elevare era la ricerca della sapienza e la professione della filosofia.
Senza sottovalutare l'impatto con il libro di Cicerone, a noi sembra che ci troviamo di fronte a un momento importante della maturazione del giovane Agostino. Egli sta comprendendo da sé che la grandezza dell'uomo passa attraverso la sua dimensione intellettiva e spirituale. E non bisogna qui dimenticare la crescita dei germi seminati dalla madre Monica.
Il libro è solo un bagliore, una conferma. Un libro in tanto è valido in quanto mette in vibrazione le corde intime del cuore dell'uomo. Il giovane Agostino veniva scoprendo se stesso e si cominciava ad affermare in lui quella sete di filosofia vera che porta alla sapienza, quella sete di verità che diverrà sete di Dio. Si comincia quindi a manifestare quella sete di ricerca, quell'insoddisfazione viscerale per tutte le cose che sembrano prometter tanto ma che sono più piccole del cuore dell'uomo e che perciò lo rimpiccioliscono e lo imprigionano; si comincia a intravedere l'anelito verso le alte cime, l'ansia dell'infinito verso cui è naturalmente proteso il cuore umano. Fra una venticinquina di anni questo stato d'animo ancora in maturazione verrà lapidariamente descritto con quel celebre canto con cui si apre il libro delle Confessioni: «Tu, Signore, ci hai fatti per te e il nostro cuore non ha pace finché non riposa in te».
Il cammino verso la verità non fu né facile né breve. Da principio, con una certa dose di ingenuità e di compromesso, cedette alla faciloneria del Manichesimo. Errore tipicamente giovanile di chi creda di trovar la pappa fatta nell'accettazione pigra di un sistema che promette molto perché è l'ultima moda e ancora non ha avuto il tempo di mostrare la sua stanchezza; come scommettere su un cavallo bolzo.
Ma con la verità non ci si può giocare. Se te ne innamori, se la cerchi sinceramente, non si sa dove ti potrà portare. Le delusioni sul Manicheismo non tardarono a venire e, anche se egli restò nella setta più di quanto durasse la sua convinzione, alla fine non poté più reggere.
Intanto al travaglio interiore faceva riscontro una facile mobilità esteriore, come un malato che si agita nel letto dove non trova la serenità del sonno. Aprì dapprima la scuola di Retorica a Tagaste; amarezze interne lo portarono a insegnare a Cartagine, dove restò fino ai suoi 30 anni (384). Delusioni e ambizioni lo indussero poi a Roma e subito dopo a Milano, oratore ufficiale di corte, tallonato sempre dalla madre e dal pungolo della grazia.
Sottrattosi finalmente alla tenaglia dei Manichei, cercò di approfondire le diverse scuole filosofiche nella speranza di trovarvi una strada migliore verso la verità. Il risultato fu uno scetticismo disperato e amaro.
E a questo punto che si inserisce da una parte lo studio dei Neo-Platonici suggeritogli da alcuni amici sinceri, e dall'altra l'approccio alle fonti cristiane, propiziato dai contatti con il vescovo Ambrogio che a Milano era venerato non solo come pastore della fede, ma anche come guida nella cultura e nella politica. Scoprì della verità una dimensione ben più vasta di quanto potesse esser contenuta dentro sistemi filosofici e ne scoprì gli echi non fuori, ma dentro di se stesso, nella più profonda interiorità. La Bibbia divenne il suo pane quotidiano. Vi trovò che il Verbo-Sapienza era venuto incontro all'uomo smarrito facendosi lui stesso uomo. La strada era questa. Non la considerò una cultura nuova e diversa, ma un impegno totalizzante. E su queste successive conquiste egli giocò la sua vita.
Questo è il periodo della «conversione» di S. Agostino. Egli stesso nelle Confessioni ne descrive le tappe drammatiche e sofferte non solo nella ricerca di una chiarificazione della sua mente, ma più ancora per lo strappo che la verità esigeva nella impostazione della sua vita. La Verità lo veniva afferrando tutto ed egli, pur felice di scoprirne la infinitezza ricalcitrava nel dover dire addio a tante fole e legami che, pur imprigionandolo, avevano reso piacevole la sua vita. Ancora non riusciva a immaginare che, liberato dai lacci dell'antica schiavitù, avrebbe trovato la vera libertà di essere e tanta felicità.
Pur riconoscendo che quella dei suoi 32 anni è la svolta fondamentale e decisiva della sua vita, a noi sembra di dover dire che in realtà tutta la vita di Agostino fu una continua conversione perché una continua ricerca. Non si considerò neanche allora un arrivato. E nella continua ricerca ci fu un continuo trovare e nel trovare una sete di ricerche sempre più profonde.
Per un bisogno quasi esistenziale di rapporti e di amicizia egli ebbe sempre attorno a sé una cerchia nutrita di amici a cui comunicava la sua stessa ansia di verità e che erano come lui e con lui intenti nella sua ricerca, condividendone gli sforzi e le gioie.
La stessa istituzione monastica che egli farà appena tornato in Africa ha tra le sue motivazioni più valide l'impegno di una ricerca fatta in équipe. E più tardi, quando le esigenze pastorali lo porteranno a impelagarsi in tante beghe che non sono sue personali, egli sentirà accorato e nostalgico il desiderio di un po' di pace per dedicarsi all'otium della ricerca e alla contemplazione di Dio. Così al monachesimo da lui concepito e istituito egli ha impresso come componente fondamentale questa ricerca insaziata della verità, vissuta in fraterna condivisione, quasi come anticipo dell'eterna contemplazione di Dio nella beatificante fruizione della sua felicità.
Le tappe della sua lunga esistenza sono presto dette. Battezzato il 25 aprile del 387, egli se ne riparte subito per l'Africa. Lungo il viaggio, ad Ostia Tiberina egli perde la madre che ormai aveva raggiunto tutti i suoi desideri nei riguardi della fede del figlio.
A Tagaste fonda il suo primo monastero e si fa appassionato propagatore dell'istituzione come per rianimare lo spontaneo fervore delle primitive comunità cristiane descritto negli Atti degli Apostoli, così il monachesimo agostiniano si diffonde con enorme prolificità in Africa e altrove e diventa scuola altissima di fede e culla di non pochi pastori e vescovi. Né minore slancio prese la vita monastica femminile, dove entrò anche la sorella di Agostino e forse colei che era convissuta al suo fianco per tanti anni. E da queste due istituzioni che ancora prendono ispirazione e attingono spiritualità i religiosi e le religiose agostiniane di oggi.
Ordinato sacerdote nel 391 in Ippona (oggi Annaba, sulle acque del Mediterraneo) come aiuto del vecchio vescovo Valerio, fonda un monastero di laici uniti nella comunione dei beni e impegnati nel servizio pastorale.
Tra il 395 e il 396 diventa vescovo di Ippona e anche qui fonda un monastero di chierici che vivono in perfetta vita comune. Prende così corpo una intensa attività pastorale caratterizzata da un affettuoso contatto umano, da un inesausto impegno di catechesi svolta soprattutto attraverso una ricchissima predicazione, costellata di incontri, dispute, concili, viaggi continui nelle diocesi vicine

17/02/08

Ritiro dei giovani a Croci...








In comunione fraterna...
Sabato 16 e Domenica 17 febbraio, II di Quaresima, presso la Casa di Croci, si è svolto il ritiro di quaresima per i giovani della nostra Parrocchia.
Il tema trattato, ha preso spunto dalla canzone Nomadi / Francesco Guccini - Dio è morto ( 1967).Guccini dice di aver visto gli uomini della sua generazione recidere i ponti col passato facendo scelte e percorrendo strade che non hanno portato a nulla. Per questo Dio è morto! Dio muore sui bordi delle strade, ed ovunque si mercifica la dignità; denuncia che le giovani generazioni vengono accusate di non credere più in nulla, quando invece si stanno liberando di miti falsi. Ma infine l' autore crede che non tutto sia perduto e che ci sia ancora motivo di sperare in un futuro migliore ed in un mondo nuovo.Momenti come l' Adorazione notturna, la celebrazione della S. Messa presieduta dal nostro parroco e momenti di deserto personale, hanno contribuito a fare del ritiro un' esperienza positiva che ha trasmesso gioia e pace. Un grazie particolare ai nostri giovani, per la partecipazione e l' entusiasmo dimostrati.

12/02/08

Parrocchia di S. Barbara in Cerignola (Fg)







Solenni Quarantore
Cari amici del blog, pubblichiamo alcune foto delle Quarantore che dal giorno 11 al 13 c.m, hanno luogo nella Parrocchia di S. Barbara in Cerignola, officiata con tanto amore e zelo pastorale, dal carissimo amico Don Pasquale Ieva. Benvenuti nel nostro blog.

11/02/08

Solenni Quarantore ...



Nei giorni 11 - 12 - 13 febbraio, nella nostra parrocchia c'è l' esposizione solenne del SS. Sacramento. Esposizione Eucaristica dalle ore 15.30 alle 16.30 dalle 21.00 alle ore 22.00.

10/02/08

MEDITANDO CON S. AGOSTINO !


LA GIOIA DELL' AMICIZIA! (Conf.4,9)

Tutte queste cose hanno rallegrato la mia anima:
parlare e ridere e altri passatempi ancora;
leggere insieme libri ameni;passare dallo scherzare più frivolo a parlare delle cose più profonde;
dissentire senza rancore, come un uomo può dissentire con se stesso, quando, più raramente, nascevano litigi;
trovare ancor più piacevoli i frequenti accordi;
insegnare gli uni agli altri e imparare gli uni dagli altri.
Queste e altre cose accesero una fiamma che fuse le nostre anime e di molte ne fece una sola!

PREGHIERA:
Beati coloro che amano te, Signore, gli amici in te i nemici per te!

03/02/08

Inaugurazione restauro affresco e...








Oggi, sabato 9 febbraio alle 10,30, nella nostra parrocchia sono stati inaugurati il restauro affresco del 400 riportato alla luce e le opere di riqualificazione architettonica del sacrato.
Sono intervenuti la Dott.ssa Maria Cristina Masdea, il Sindaco Daniele Bettarini, il Parroco Padre Giuseppe Romani, il Dott.Arch. Massimo Neri, il Geom. Andrea Taddei e il Prof. Dott. Arch. Simone Scardigli.

01/02/08

Notizie dalla Provincia Agostiniana d' Italia



Mercoledì 30 gennaio, a conclusione dell’udienza generale nella quale è stata letta la terza catechesi su sant’Agostino, il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in udienza privata un gruppo di religiosi agostiniani e di rappresentanti della casa editrice Città Nuova che ha donato al Papa l’edizione completa bilingue, latino-italiano, di S. Agostino.
Il Santo Padre, molto compiaciuto del prezioso dono, ha ringraziato di cuore gli editori e i figli di sant’Agostino che, dopo oltre sedici secoli, continuano a diffonderne la luce nel mondo.
Presto, su un numero speciale del Notiziario, pubblicheremo le catechesi e alcuni testi su Agostino pronunziati dal Papa e alcune testimonianze dell’evento.

11 - 12 - 13 - febbraio nella nostra Parrocchia...


Esposizione Solenne del SS. Sacramento
Le Quarantore sono legate al nome di Antonio Maria Zaccaria (1502-1539). Quando egli raggiunse Milano, dalla nativa Cremona, all’inizio degli anni Trenta del secolo XVI, entrò in rapporto con un cenacolo di riforma detto dell’Eterna Sapienza. Una delle pratiche che vi si svolgevano era l’adorazione eucaristica nella Settimana Santa, per la durata di quaranta ore presso la Chiesa del Santo Sepolcro. Infatti si riteneva che Cristo fosse rimasto nel sepolcro all’incirca quaranta ore: di qui la consuetudine di protrarre la preghiera che si svolgeva però in forma privata. Simile consuetudine veniva ripresa altre tre volte nell’arco dell’anno, in occasione delle Tempora di estate, autunno e inverno.


Antonio Maria, forte dell’impostazione cristocentrica della sua pastorale, puntò su due riferimenti destinati a risvegliare nelle masse il senso e la pratica religiosa: il Crocifisso e l’Eucaristia. Quanto al primo, si fece promotore insieme ai suoi discepoli, della iniziativa di far suonare le campane alle tre del pomeriggio (inizialmente tutti i giorni, poi al venerdì) in memoria della Passione del Signore. Il mistero della Passione non si esaurisce nel ricordo di un evento storico e si ripropone in quello che è stato definito “il Crocifisso vivo”: l’Eucaristia. Ciò spiega perché il Santo abbia diffuso anzitutto la consuetudine della comunione frequente, anzi settimanale, in un’epoca in cui l’accesso alla sacra mensa si era oltremodo rarefatto anche nelle comunità religiose. Nel contempo volle che la Quarantore diventassero una pratica solenne, che comportava l’esposizione del Corpo sacramentale del Signore nelle chiese della città, a turno, così che tutta la popolazione venisse in qualche modo mobilitata. Per dare maggiore rilievo al culto non dovevano mancare, oltre alla preghiera della comunità, il decoro dell’altare ornato di fiori e di ceri. Saranno gli stessi seguaci del Santo a fornire questi ultimi a proprie spese.

Le cronache dell’epoca attestano che i figli dello Zaccaria – i sacerdoti Barnabiti, le religiose Angeliche e i laici – seppero assicurare ampia risonanza alle iniziative del loro fondatore, così che i papi indirizzarono alla cittadinanza milanese due Brevi, relativo il primo alla venerazione del Crocifisso nell’ora della sua morte e il secondo in merito alla pratica delle Quarantore: strumenti pastorali quanto mai adatti a promuovere la rinascita spirituale della comunità ambrosiana e a difendere la cristianità dagli incombenti pericoli costituiti dalla minaccia turca e luterana.

Antonio Maria aveva le sue buone ragioni nel rilanciare il culto eucaristico, convinto com’era che se “l’uomo è intiepidito ed è diventato bestia (notare il linguaggio del santo!) è perché non frequenta più questo sacramento”. Qui c’è il Santo dei Santi – incalza lo Zaccaria – per cui non c’è cosa che possa santificarci di più, del ricevere la Comunione, con la quale compiamo “la principale conversione a Dio”. Come si vede, la contemplazione del Signore nel segno del suo Corpo non è fine a se stessa, ma innesca nel cuore umano un processo di conversione, si direbbe di transustanziazione dell’essere umano in quello divino. Si tratta di una lezione che avevano ben compreso i primi compagni del Santo. Ecco come si esprime in una lettera l’angelica Paola Antonia Negri, tra le primissime ad aver aderito al programma riformatore dello Zaccaria: “Cibatevi spesso delle carni immacolate e sante di questo Agnello, affinché vi transostanziate tutti in lui, facendo l’anima vostra divina, così come egli si fece partecipe dell’umanità nostra, impastando la sua Deità con la nostra carne”. Non si potrebbe esprimere in maniera più realistica l’efficacia dell’Eucaristia nella vita del cristiano.

P. EMILIANO REDAELLI
Superiore Padri Barnabiti - Lodi

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S. Maria in Selva