28/02/10
22/02/10
Quarantore di adorazione eucaristica nell’ anno sacerdotale.
nei giorni
22 – 23 - 24 Febbraio 2010
Quando siamo di fronte al Santissimo Sacramento, anziché guardare in giro, chiudiamo gli occhi ed apriamo il cuore: il buon Dio aprirà il suo, noi andremo a lui ed Egli verrà a noi, noi per chiedere e lui per ricevere; sarà come un respiro che passa dall’ uno all’ altro”.
Dagli scritti di S. Giovanni M. Vianney – curato d’ Ars.
15/02/10
14 FEBBRAIO: FESTA DELL'AMORE
Siamo stati invitati dal gruppo giovani di Barba e Ferruccia (Quarrata)a partecipare a un incontro con il "Movimento per la vita" sul tema LA SCELTA DI AMARE.
Si è ricordata la vita di Gianna Beretta Molla, la santa dell'ordinarietà che è stata capace di donare, senza ripensamenti, la sua vita per salvare quella della sua creatura.
Il movimento ha fatto conoscere, come questo centro, in modo gratuito e riservato si occupa e aiuta quelle mamme che vivono una gravidanza difficile, a scegliere l'AMORE
E' stata una serata speciale, con molta semplicità ed umanità sono stati trattati argomenti importanti e ho visti ragazzi veramente convinti, determinati, con tanta gioia nel cuore innamorati della vita.
14/02/10
Messaggio del Papa 2012
MESSAGGIO DEL PAPA PER LA QUARESIMA
Messaggio per la Quaresima 2012
Pubblichiamo il testo integrale del Messaggio di Benedetto XVI per la Quaresima 2012, sul tema: Prestiamo attenzione gli uni agli altri,   per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone»(Eb10,24).
Fratelli e sorelle,
la  Quaresima ci offre ancora una volta l'opportunità di riflettere sul cuore della vita  cristiana: la carità. Infatti questo è un tempo propizio affinché, con l'aiuto  della Parola di Dio e dei Sacramenti, rinnoviamo il nostro cammino di fede, sia  personale che comunitario. E' un percorso segnato dalla preghiera e dalla  condivisione, dal silenzio e dal digiuno, in attesa di vivere la gioia pasquale.
Quest’anno desidero proporre alcuni pensieri alla luce di un breve testo  biblico tratto dalla Lettera agli Ebrei: «Prestiamo attenzione gli uni  agli altri per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone»  (10,24).  E’ una frase inserita in una pericope dove lo scrittore sacro esorta a  confidare in Gesù Cristo come sommo sacerdote, che ci ha ottenuto il perdono e  l'accesso a Dio. Il frutto dell'accoglienza di Cristo è una vita dispiegata  secondo le tre virtù teologali: si tratta di accostarsi al Signore «con cuore  sincero nella pienezza della  fede»  (v. 22), di mantenere salda  «la professione della nostra  speranza»  (v. 23) nell'attenzione costante  ad esercitare insieme ai fratelli «la  carità  e le opere buone» (v. 24).  Si afferma pure che per sostenere questa condotta  evangelica è importante partecipare agli incontri liturgici e di preghiera della  comunità, guardando alla meta escatologica: la comunione piena in Dio (v. 25).  Mi soffermo sul versetto 24, che, in poche battute, offre un insegnamento  prezioso e sempre attuale su tre aspetti della vita cristiana: l'attenzione  all'altro, la reciprocità e la santità personale.
1. “Prestiamo attenzione”: la responsabilità verso il fratello.
Il primo elemento è l'invito a «fare attenzione»: il verbo greco usato è   katanoein,che significa osservare bene, essere attenti, guardare con consapevolezza,  accorgersi di una realtà. Lo troviamo nel Vangelo, quando Gesù invita i  discepoli a «osservare» gli uccelli del cielo, che pur senza affannarsi sono  oggetto della sollecita e premurosa Provvidenza divina  (cfr  Lc 12,24),  e a «rendersi conto» della trave che c’è nel proprio occhio prima di  guardare alla pagliuzza nell'occhio del fratello  (cfr  Lc 6,41).  Lo troviamo anche in un altro passo della stessa  Lettera agli Ebrei, come invito a «prestare attenzione a Gesù» (3,1),  l'apostolo e sommo sacerdote della nostra  fede. Quindi, il verbo che apre la nostra esortazione invita a fissare lo  sguardo sull’altro, prima di tutto su Gesù, e ad essere attenti gli uni verso  gli altri, a non mostrarsi estranei, indifferenti alla sorte dei fratelli.  Spesso, invece, prevale l’atteggiamento contrario: l’indifferenza, il  disinteresse, che nascono dall’egoismo, mascherato da una parvenza di rispetto  per la «sfera privata». Anche oggi risuona con forza la voce del Signore che  chiama ognuno di noi a prendersi cura dell'altro. Anche oggi Dio ci chiede di  essere «custodi» dei nostri fratelli (cfr Gen 4fratelli (cfr Gen 4,9), di instaurare  relazioni caratterizzate da premura reciproca, da  attenzione al  bene  dell'altro e a  tutto  il suo bene.  Il grande comandamento dell'amore del prossimo esige e sollecita la  consapevolezza di avere una responsabilità verso chi, come me, è creatura e  figlio di Dio: l’essere fratelli in umanità e, in molti casi, anche nella fede,  deve portarci a vedere nell'altro un vero  alter ego,   amato in modo infinito dal Signore. Se coltiviamo questo sguardo di fraternità,  la solidarietà, la giustizia, così come la misericordia e la compassione,  scaturiranno naturalmente dal nostro cuore. Il Servo di Dio  Paolo VI affermava  che il mondo soffre oggi soprattutto di una mancanza di fraternità: «Il mondo è  malato. Il suo male risiede meno nella dilapidazione delle risorse o nel loro  accaparramento da parte di alcuni, che nella mancanza di fraternità tra gli  uomini e tra i popoli»  (Lett. enc.   Populorum progressio [26 marzo 1967], n. 66).
L’attenzione all’altro comporta desiderare per lui o per lei il bene, sotto  tutti gli aspetti: fisico, morale e spirituale. La cultura contemporanea sembra  aver smarrito il senso del bene e del male, mentre occorre ribadire con forza  che il bene esiste e vince, perché Dio è «buono e fa il bene»  (Sal  119,68).  Il bene è ciò che suscita, protegge e promuove la vita, la fraternità e  la comunione. La responsabilità verso il prossimo significa allora volere e fare  il bene dell'altro, desiderando che anch'egli si apra alla logica del bene;  interessarsi al fratello vuol dire aprire gli occhi sulle sue necessità. La  Sacra Scrittura mette in guardia dal pericolo di avere il cuore indurito da una  sorta di «anestesia spirituale» che rende ciechi alle sofferenze altrui.  L’evangelista Luca riporta due parabole di Gesù in cui vengono indicati due  esempi di questa situazione che può crearsi nel cuore dell’uomo.  In quella del  buon Samaritano, il sacerdote e il levita  «passano oltre», con indifferenza, davanti all’uomo  derubato e percosso dai briganti (cfr Lc 10,30-32), e  in quella del  ricco epulone, quest’uomo sazio di beni non si avvede della  condizione del povero Lazzaro che muore di fame davanti alla  sua porta (cfr Lc 16,19). In entrambi i casi abbiamo a che fare con il contrario del «prestare  attenzione», del guardare con amore e compassione. Che cosa impedisce questo  sguardo umano e amorevole verso il fratello? Sono spesso la ricchezza materiale  e la sazietà, ma è anche l’anteporre a tutto i propri interessi e le proprie  preoccupazioni. Mai dobbiamo essere incapaci di «avere misericordia» verso chi  soffre; mai il nostro cuore deve essere talmente assorbito dalle nostre cose e  dai nostri problemi da risultare sordo al grido del povero. Invece proprio  l’umiltà di cuore e l'esperienza personale della sofferenza possono rivelarsi  fonte di risveglio interidi risveglio interiore alla compassione e all'empatia: «Il giusto  riconosce il diritto dei miseri, il malvagio invece non intende ragione»   (Pr 29,7). Si comprende così la beatitudine di «coloro che sono nel pianto» (Mt  5,4), cioè di quanti sono in grado di uscire da se stessi per commuoversi del  dolore altrui. L'incontro con l'altro e l'aprire il cuore al suo bisogno sono  occasione di salvezza e di beatitudine.
Il «prestare attenzione» al fratello comprende altresì la premura per il suo  bene spirituale. E qui desidero richiamare un aspetto della vita cristiana che  mi pare caduto in oblio:  la correzione fraterna in vista della salvezza eterna.   Oggi, in generale, si è assai sensibili al discorso della cura e della carità  per il bene fisico e materiale degli altri, ma si tace quasi del tutto sulla  responsabilità spirituale verso i fratelli. Non così nella Chiesa dei primi  tempi e nelle comunità veramente mature nella fede, in cui ci si prende a cuore  non solo la salute corporale del fratello, ma anche quella della sua anima per  il suo destino ultimo. Nella Sacra Scrittura leggiamo: «Rimprovera il saggio ed  e Dà consigli al saggio e diventerà ancora più saggio;  istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere»  (Pr 9,8s).  Cristo stesso comanda di riprendere il fratello che sta commettendo un  peccato (cfr Mt 18,15). Il verbo usato per definire la  correzione fraterna -  elenchein  - è il medesimo che indica  la missione profetica di denuncia propria dei  cristiani verso una generazione che indulge al male (cfr Ef 5,11).  La tradizione della Chiesa ha annoverato tra le opere di misericordia  spirituale quella di «ammonire i peccatori». E’ importante recuperare questa  dimensione della carità cristiana. Non bisogna tacere di fronte al male. Penso  qui all’atteggiamento di quei cristiani che, per rispetto umano o per semplice  comodità, si adeguano alla mentalità comune, piuttosto che mettere in guardia i  propri fratelli dai modi di pensare e di agire che contraddicono la verità e non  seguono la via del bene. Il rimprovero cristiano, però, non è mai animato da  spirito di condanna o recrimina-zione; è mosso sempre dall’amore e dalla  misericordia e sgorga da vera sollecitudine per il bene del fratello. L’apostolo  Paolo afferma: «Se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo Spirito  correggetelo con spirito di dolcezza. E tu vigila su te stesso, per non essere  tentato anche tu»  (Gal 6,1). Nel nostro mondo  impregnato di individualismo, è necessario riscoprire  l’importanza della correzione fraterna, per camminare insieme verso la santità.  Persino «il giusto cade sette volte»  (Pr 24,16),  dice la Scrittura, e noi tutti siamo deboli e manchevoli (cfr  1  Gv 1,8). E’ un grande servizio quindi aiutare e lasciarsi aiutare a leggere con  verità se stessi, per migliorare la propria vita e camminare più rettamente  nella via del Signore. C’è sempre bisogno di uno sguardo che ama e corregge, che  conosce e riconosce, che discerne e perdona (cfr Lc 22,61),  come ha fatto e fa Dio con ciascuno di noi.
2. “Gli uni agli altri”: il dono della reciprocità.
Tale «custodia» verso gli altri contrasta con una mentalità che, riducendo la  vita alla sola dimensione terrena, non la considera in prospettiva escatologica  e accetta qualsiasi scelta morale in nome della libertà individuale. Una società  come quella attuale può diventare sorda sia alle sofferenze fisiche, sia alle  esigenze spirituali e morali della vita. Non così deve essere nella comunità  cristiana! L’apostolo Paolo invita a cercare ciò che porta «alla pace e alla  edificazione vicendevole»  (Rm 14,19), giovando al  «prossimo nel bene, per edificarlo»  (ibid.  15,2),  senza cercare l'utile proprio «ma quello di molti, perché giungano alla  salvezza»  (1 Cor 10,33). Questa reciproca correzione ed esortazione, in spirito di umiltà e di  carità, deve essere parte della vita della comunità cristiana.
I discepoli del Signore, uniti a Cristo mediante l’Eucaristia, vivono in una  comunione che li lega gli uni agli altri come membra di un solo corpo. Ciò  significa che l'altro mi appartiene, la sua vita, la sua salvezza riguardano la  mia vita e la mia salvezza. Tocchiamo qui un elemento molto profondo della  comunione:la nostra esistenza è correlata con quella degli altri, sia nel bene che nel  male; sia il peccato, sia le opere di amore hanno anche una dimensione sociale.  Nella Chiesa, corpo mistico di Cristo, si verifica tale reciprocità: la comunità  non cessa di fare penitenza e di invocare perdono per i peccati dei suoi figli,  ma si rallegra anche di continuo e con giubilo per le testimonianze di virtù e  di carità che in essa si dispiegano. «Le varie membra abbiano cura le une delle  altre»(1 Cor  12,25), afferma San Paolo, perché siamo uno stesso corpo. La carità verso i  fratelli, di cui è un’espressione l'elemosina - tipica pratica quaresimale  insieme con la preghiera e il digiuno - si radica in questa comune appartenenza.  Anche nella preoccupazione concreta verso i più poveri ogni cristiano può  esprimere la sua partecipazione all'unico corpo che è la Chiesa. Attenzione agli  altri nella reciprocità è anche riconoscere il bene che il Signore compie in  essi e ringraziare con loro per i prodigi di grazia che il Dio buono e  onnipotente continua a operare nei suoi figli. Quando un cristiano scorge  nell'altro l'azione dello Spirito Santo, non può che gioirne e dare gloria al  Padre celeste (cfr Mt 5,16).
3. “Per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone”:  camminare insieme nella santità.
Questa espressione della Lettera agli Ebrei (10,24) ci spinge a  considerare la chiamata universale alla santità, il cammino costante nella vita  spirituale, ad aspirare ai carismi più grandi e a una carità sempre più alta e  più feconda (cfr  1 Cor 12,31-13,13). L'attenzione reciproca  ha come scopo il mutuo spronarsi ad un  amore effettivo sempre maggiore, «come la luce dell'alba, che aumenta lo  splendore fino al meriggio»  (Pr 4,18), in attesa di vivere il giorno  senza tramonto in Dio. Il tempo che ci è  dato nella nostra vita è prezioso per scoprire e compiere le opere di bene,  nell’amore di Dio. Così la Chiesa stessa cresce e si sviluppa per giungere alla  piena maturità di Cristo (cfr Ef 4,13). In tale prospettiva  dinamica di crescita si situa la nostra esortazione a  stimolarci reciprocamente per giungere alla pienezza dell'amore e delle buone  opere.
Purtroppo è sempre presente la tentazione della tiepidezza, del soffocare lo  Spirito, del rifiuto di «trafficare i talenti» che ci sono donati per il bene  nostro e altrui (cfr Mt 25,25s).  Tutti abbiamo ricevuto  ricchezze spirituali o materiali utili per il compimento  del piano divino, per il bene della Chiesa e per la salvezza personale (cfr Lc 12,21b;  1  Tm 6,18). I maestri spirituali ricordano che nella vita di fede chi non avanza  retrocede. Cari fratelli e sorelle, accogliamo l'invito sempre attuale a tendere  alla «misura alta della vita cristiana»  (Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte [6 gennaio 2001], n. 31). La sapienza della Chiesa nel riconoscere e proclamare  la beatitudine e la santità di taluni cristiani esemplari, ha come scopo anche  di suscitare il desiderio di imitarne le virtù. San Paolo esorta: «gareggiate  nello stimarvi a vicenda»  (Rm 12,10).
Di fronte ad un mondo che esige dai cristiani una testimonianza rinnovata di  amore e di fedeltà al Signore, tutti sentano l’urgenza di adoperarsi per  gareggiare nella carità, nel servizio e nelle opere buone (cfr Eb 6,10).  Questo richiamo è particolarmente forte nel tempo santo di preparazione  alla Pasqua. Con l’augurio di una santa e feconda Quaresima, vi affido  all’intercessione della Beata Vergine Maria  e  di cuore imparto a tutti la Benedizione Apostolica.
Dal Vaticano, 3 novembre 2011
BENEDICTUS PP. XVI
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